Francesca Toscani, testimone del tempo

  • Ricordo bene il 13 dicembre 1758: è stato l'ultimo giorno della mia vita.

    Ricordo bene il 13 dicembre 1758: è stato l'ultimo giorno della mia vita.

    Il mio nome è scritto su una vecchia etichetta che ancora conservo. Io sono Francesca Toscani e l’ultimo posto in cui sono stata nella mia vita è questo, il Nuovo Spedale voluto da quel Duca Francesco III, il modernizzatore o, come lo chiamano i maligni, il Duca venditore, per via di quelle opere di cui si è sbarazzato, spendendole lassù, in Germania.
    Ogni tanto mi aggiro per questo luogo che da tempo ha perso l’aria spettrale degli ultimi anni: alcune stanze che già visitavo ai miei tempi presto torneranno come nuove, mentre altre sono sparite per lasciare spazio a visuali dalle dimensioni aperte e maestose.

    Incastrata nell’antica storia di queste stanze non posso smettere di immaginare quale futuro abiterà questi luoghi.

  • Il Grande Spedale.

    Il Grande Spedale.

    Ci sono voluti 9 anni prima di vederlo finito completamente, nel 1762, quel maestoso ed elegante edificio affacciato sulla Via Emilia.
    Quando inaugurò una sua prima parte, il 30 Novembre 1758, non volle mancare nemmeno il Duca Francesco III che per l’occasione fece coniare “medaglie da porsi nei fondamenti del nuovo grande ospedale”.

    Che sfarzo, che maestria quell’incisore, Pietro Sola, che le realizzò per compiacere al Duca e noi tutti modenesi.

  • Vivevo in tempi eccezionali.

    Vivevo in tempi eccezionali.

    Qualcuno ancora definisce il ‘700 come l’età dei lumi, che ha fatto luce sulle false credenze e ha guidato verso il primato della ragione.
    A regnare su Modena c’era il figlio di quel gran bigotto del Duca Rinaldo, Francesco Maria III, un sovrano “al passo coi tempi”. C’è voluto un po’ prima che conquistasse noi modenesi, goffo e insicuro com’era, così come ci volle tempo per digerire quella moglie francese, Carlotta Aglae d'Orléans, irrequieta e di una cultura così diversa, ma anche capace di stampare un bel sorriso in faccia al duca.
    Ricordo bene quando Francesco III fece il suo ingresso trionfale in città, dopo aver combattuto al fianco dell’imperatore contro i turchi in Ungheria. Molte cose cambiarono col suo avvento: qui tutto era un fare e disfare di case e palazzi ricostruiti alla maniera delle capitali illuminate e delle corti europee…
    Ecco, Modena era un cantiere come quello in cui soggiorno tutt'oggi, ma diffuso su tutta la città. 

  • Molto tempo fa.

    Molto tempo fa.

    Tra queste mura maestose operava la Santa Unione: una congregazione delle opere pie assistenziali della città, fondata nell'estate del 1541.
    Il suo simbolo era la Mano Benedicente, che ricordo di aver vista scolpita anche sulla facciata del Grande Spedale quando venni qui per la prima volta.

    Il Duca Ercole II D'Este fu grande promotore della confraternita, ispirato dal clima di pietà religiosa della Controriforma… e dalle varie epidemie che flagellarono la popolazione in quegli anni.

    La sua sede principale era la Cadè - la Casa di Dio - un antico ospedale dedicato ai trovatelli fondato da Guglielmo della Cella nel 1260, come ricorda la lapide commemorativa che si trova oggi al Museo Lapidario Estense.

    La Casa di Dio era nella stessa zona dell’Oratorio di San Pietro Martire, oggi identificata come Via Della Cerca, non molto distante da dove mi trovo.

  • Fu Ludovico Antonio Muratori l'ispiratore.

    Fu Ludovico Antonio Muratori l'ispiratore.

    Grazie al Muratori e allo spirito riformista che infuse al duca, Francesco III D'Este appoggiò il progetto del Grande Spedale.

    Coltissimo, sempre immerso tra montagne di libri. Originario di Vignola, quel Muratori divenne rapidamente una vera e propria istituzione qui a Modena.

    Dopo essere stato ordinato sacerdote, fu assunto come dottore all'Ambrosiana, fino al 1700, quando venne chiamato a dirigere la biblioteca modenese del duca Rinaldo I d'Este.

    Era un uomo di fede dotato di una cultura sconfinata e divenne il precettore del futuro Duca, Francesco III.

    È grazie alla diffusione dei suoi trattati  se a Modena c’è stata una svolta verso un’idea virtuosa di politica attenta al benessere, fisico e morale, dei sudditi.

  • Era il 30 marzo 1753.

    Era il 30 marzo 1753.

    Il giorno in cui venne approvata la proposta dell'illuminato Duca Francesco III di costruire un Grande Spedale per la città di Modena.
    In precedenza era la Santa Unione ad assistere noi indigenti: bastava recarsi in una delle sedi distribuite sulla città.

    Il Duca però decise di rivoluzionare il sistema di assistenza, convinto che sarebbe stato più facile unire tutte le cure in un unico luogo. Per realizzarlo in un grande progetto, a cui diede la sua approvazione l’architetto Alfonso Torreggiani di Budrio, vennero rimaneggiati o addirittura rasi al suolo interi edifici sulla via Emilia, il Monastero e persino la Chiesa di San Girolamo. Una manciata di giorni dopo cominciarono i lavori, sotto la guida di Giuseppe Sozzi, Capomastro responsabile dell’edificazione dell’Ospedale e vice architetto ducale.

    Ricordo un polverone infinito e tanto fermento attorno alla Porta: era un piano così ambizioso che tutta la città lo accolse con grande entusiasmo!

  • Era il 2 aprile 1753.

    Era il 2 aprile 1753.

    Venne posta la prima pietra di quello che, fin da subito, fu per tutti "il Sant'Agostino".
    Sin dall’inizio, allora come oggi, si parlava tanto di questo cantiere.

    Giravano voci su qualsiasi questione che lo riguardasse, comprese le ragioni della sua ubicazione: perché proprio in largo Sant'Agostino?

    Ebbene, come mi hanno spiegato, il Grande Spedale degli Infermi sorgeva davanti all'Albergo dei Poveri.
    Ribattezzato in seguito Albergo Arti, questo era una vera e propria Casa di Lavoro dove persone in difficoltà potevano trovare un impiego.

    Peccato che in breve tempo furti e prostituzione rovinarono ogni buon intento del nostro Duca che, in quel luogo, si era immaginato di creare una specie di punto di assistenza unico per tutti i suoi cittadini bisognosi di cure e aiuto.

  • Ricordo che stavo molto male.

    Ricordo che stavo molto male.

    Appena arrivata notai subito la lapide commemorativa che sovrastava il portone d'ingresso.
    La scritta dava il benvenuto ai tanti che, come me, varcavano la soglia del Grande Spedale.
    Quando mi portarono al Sant'Agostino, tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 1758, ero tra le prime pazienti ricoverate.
    Fuori pioveva e faceva freddo, quasi non riuscivo a stare in piedi ma, nonostante la vista offuscata e i ricordi sbiaditi, ho indelebile l’immagine di quell’immensa facciata, con quel marmo inciso e quell’imponente stemma estense ancora più in alto che sembrava piombarti addosso da un momento all’altro.
    Sotto c’era la mano benedicente, simbolo della Santa Unione.

    Chissà quanti di noi hanno sperato, nei secoli, che quella mano buona fosse il segno di una promessa guarigione.

  • L'odore pungente di aceto nel naso.

    L'odore pungente di aceto nel naso.

    Ripresi conoscenza: mi avevano portato di peso nell’atrio dello Spedale, in attesa di ricovero.
    Sembrava un sogno: la paura per la mia condizione si mescolava alla meraviglia per ciò che mi circondava. I miei occhi vagavano sui dettagli: la cancellata imponente, le inferriate delle finestre al pianterreno e i sovrapporta, tutti capolavori di Giambattista Malagoli, lo stimatissimo fabbro che a Modena era l’unico in grado di rendere il metallo ritorto tanto armonioso.
    Le sue opere erano richieste in tutta la città: per circondare la Ghirlandina, abbellire le case di Corso Canal Grande e persino all’Università. Tra i suoi estimatori c’era anche l’orefice Felice Riccò, che, a fine Ottocento. coinvolse varie personalità per dedicare al Mastro un’iscrizione commemorativa, collocata nel Museo Civico.

    Quanto a me, da quel momento ero all'inizio della fine.

  • Sofferente non solo nel corpo ma anche nello spirito.

    Sofferente non solo nel corpo ma anche nello spirito.

    Chi entrava al Sant'Agostino nella seconda metà del Settecento aveva una permanenza di circa 40-50 giorni.
    Alcuni ne uscivano guariti, molti invece ci morivano dentro, anche perché tanti vi si recavano in uno stato di malattia avanzata.
    Tra uomini e donne eravamo divisi in aree diverse, distinti tra malati contagiosi e pazienti chirurgici. Io ero tra le contagiose, in una grande camerata con tanti letti, tutti occupati, ciascuno con una lavagna posta ai piedi riportante diagnosi, terapia e dieta personalizzata a cui gli infermieri prestavano la massima attenzione.

    Il rumore dei carri, il vociare chiassoso delle persone a passeggio o al lavoro e quel sole tiepido che si alternava alla pioggia di dicembre mi erano così desiderabili, rispetto alla calma stantia del reparto, che piangevo sempre.

  • Ne avevo già abbastanza.

    Ne avevo già abbastanza.

    Erano passati solo pochi giorni.
    Tutte in una stanza, con quell’odore di malattia mischiata a sangue e lozioni curative, il forte contrasto tra la costrizione del ricovero e la vita che scorreva oltre le mura dell’ospedale, così vicina e così irraggiungibile.
    I dottori lavoravano per l'individuazione del male e non solo alla cura delle sue conseguenze,
    ma c'era malcontento: giravano voci sulla mala gestione degli accessi e sugli utilizzi impropri di medicinali costosi e inappropriati rispetto alle terapie da far seguire ai pazienti e i molti impicci burocratici ne rallentavano l’approvvigionamento. Questo problema venne risolto con il sistema delle vacchette e delle prescrizioni di medicine personalizzate.
    Intanto io speravo solo di guarire e di poter riabbracciare la mia famiglia, ma purtroppo ero troppo grave.

    Il 13 dicembre 1758 non potei più uscire dal Sant'Agostino.

  • Cosa succede quando si muore?

    Cosa succede quando si muore?

    Si diventa gatto, foglia, nuvola?Sarà luce o tenebra, sarò qui o altrove?
    Forse morire è un po’ tutte queste cose insieme.
    Dal buio, all'improvviso, mi ritrovai nella luce accecante, immersa nel frastuono di calcinacci caduti. Una baraonda di ricoverati, un viavai di infermieri e operai che si muovevano tra le sale dell'edificio, tanto freneticamente da sembrare formiche nei cunicoli di terra. Difficili da evitare, eppure... Eppure la mia presenza sembrava impercettibile, come non esistessi, più.

    Per lo stupore la testa cominciò a girare, girare, girare fino a fermarsi lì, sulla pagina del calendario che segnava l'anno 1759.

    Io c'ero, o forse non c'ero più.
    Ma i lavori nel grande cantiere dell'Ospedale Sant'Agostino continuavano...

  • Ospiti stimati: 104.

    Ospiti stimati: 104.

    Già prima di cominciare i lavori del nucleo iniziale era risaputo che il Grande Spedale sarebbe stato un cantiere complesso.
    Infatti, poco tempo dopo l’inaugurazione del settore “civile”, si stava già edificando quello destinato ai militari.

    Era il 13 giugno 1759 e l’edificio aveva assunto una conformazione romboidale arricchita da un cortile con due fontane. Costituito da due bracci affrontati, uniti da un corridoio coperto trasversale, l’ospedale prevedeva il collegamento diretto tra il settore femminile a sinistra e quello maschile a destra, per permettere il rapido passaggio di medici e personale di cura dall’uno all’altro reparto.

  • Nessuno poteva vedermi né sentirmi.

    Nessuno poteva vedermi né sentirmi.

    Per qualcuno questa condizione potrebbe sembrare sconveniente, bizzarra se non altro, ma vi assicuro che dopo un primo momento di disorientamento, potersi aggirare come un gatto, indisturbati, ha i suoi risvolti interessanti.

    Così decisi di attraversare il grande corridoio coperto per visitare il nuovo reparto militare.

    Dalle volte in muratura dei “civili”, mi ritrovai sovrastata da alti e raffinati solai in legno. Le grandi camerate di degenza avrebbero ospitato tanti letti, ciascuno affiancato da particolari nicchie ricavate nelle pareti da usare a mò di comodini.

    Seppure nella struttura i due bracci perpendicolari fossero simili, il clima che si respirava era diverso: sicuramente più disciplinato, anche se chi vi veniva ricoverato avrebbe riportato spesso ferite da far accapponare la pelle.

  • Consulta Degli Statuti, e Regolamenti.

    Consulta Degli Statuti, e Regolamenti.

    Mentre proseguivano i lavori, la Santa Unione acquistò altre case sul piazzale Sant'Agostino, ottenute dalle famiglie Palmieri, Cassiani e Contri in cambio di denaro e riconoscimento pubblico per il contributo al Grande Spedale.
    Poco dopo l’apertura, il Duca Francesco III, con chirografo del 21 luglio 1759, ordinò l’ampliamento dell’ospedale e il raddoppio della facciata occidentale. Oltre all’infermeria e all’ospedale militare, si pianificavano una casa di correzione, un teatro anatomico e un ospizio per mendicanti, tutti nello stesso edificio.
    Un progetto così ambizioso richiese regole precise, stabilite nel 1759 da una commissione. In tre libri furono definiti l’amministrazione, i servizi di assistenza e la casa di correzione annessa, oltre alla convenzione con l'ospedale di S. Lazzaro di Reggio Emilia per il ricovero dei pazzi.

  • Patet Omnibus.

    Patet Omnibus.

    Di norma, negli ospedali gestiti da enti religiosi e confraternite, vi si ricoveravano non solo gli ammalati generici, ma anche i cronici, gli incurabili, gli inabili al lavoro, vecchi e pellegrini...per questo, essi godevano di privilegi ed esenzioni, spesso comprensivi del diritto d’asilo.

    Ricordate la Santa Unione, la confederazione delle molte Opere Pie religiose e Confraternite che gestivano tutte le pratiche assistenziali della città? Bene, dal 30 marzo 1764,con il duca Francesco III, si ha un passaggio importante di testimone, con la fondazione dell’Opera Pia Generale.

    Ispirata dal vento illuminista del suo tempo, la nuova istituzione fu il risultato di una trasformazione e modernizzazione sia pratica che, soprattutto, concettuale dei servizi assistenziali. Con l’Opera Pia Generale, infatti, si assistette al passaggio epocale dall’assistenza caritativa in base al precetto evangelico, al moderno concetto di assistenza pubblica patrocinata dallo Stato.
    Il mutamento riguardò anche lo stemma del Grande Spedale che passò dalla mano benedicente (le tre dita pollice, indice e medio alzate, ripiegate le altre due) alla mano patente, ovvero, la mano destra con tutte le dita stese corredata dal motto "Patet Omnibus" che indica l'assistenza aperta a tutti.

  • La Grande Mano.

    La Grande Mano.

    Storicamente, gli ospedali adottavano insegne o stemmi per onorarne i fondatori o chi li gestiva.
    Il Grande Spedale, diretto dalla Santa Unione dal 1541 al 1764, esibiva una mano benedicente in marmo bianco sulla facciata, ancora visibile sopra i due ingressi principali.
    Dal 1764, con l’Opera Pia Generale, la mano benedicente fu sostituita dalla laica "Manus Patens", con cinque dita stese. Di lei abbiamo tuttora un’immagine rappresentativa in ottone, proprio all’interno dell’ospedale, a coronamento della cancellata in ferro forgiata dal Malagoli, e collocata nell’atrio.
    La "mano patente" entrò presto nell’immaginario collettivo: si diceva "hai una mano come quella dell'opera Pia" per indicare una persona generosa. Di lì a poco, il senso venne corrotto, riferendolo a chi, invece, aveva una mano anatomicamente troppo grande.

  • I Figli Esposti.

    I Figli Esposti.

    L'abbandono degli infanti ai miei tempi era ancora un problema molto serio.
    Ricordo che già dal XIII secolo anche a Modena si cominciarono a istituire organismi dedicati, come l’Ospedale della Pietà e dei Battuti, a cui si aggiunse quello di Santa Maria della Neve.
    Velocemente però tutte le strutture raggiunsero la capacità massima di accoglienza, andando in crisi assistenziale e finanziaria, tanto che nel 1480 dovette intervenire Papa Sisto IV con la promessa di indulgenza plenaria per coloro che avessero contribuito al mantenimento dei trovatelli. Il testo del Breve del Papa, inciso su una lastra esposta sul lato meridionale del Duomo di Modena, è riportato anche negli Statuti del Grande Spedale, dove la Casa di Dio figura come Opera che riguarda i Figli Esposti.

    Dal 1541 l'incarico di accogliere i bambini lasciati di nascosto nella Ruota di Strada o consegnati tramite Contenta, un documento vincolante attraverso cui le donne si dichiaravano “contente” di affidare la prole a quella particolare istituzione, era riservato esclusivamente alla Santa Unione. Per facilitare il riconoscimento, mantenendo la riservatezza delle famiglie coinvolte, ai trovatelli veniva affidato un nome e un cognome fittizio. Non a caso, il più diffuso nel modenese fu Della Casa.
    Gli orfani furono ospitati nella Casa di Dio in via della Cerca fino al 1768, quando vennero trasferiti nell'albergo Arti dove rimasero fino al 1788.

  • Bastevolmente disgiunta.

    Bastevolmente disgiunta.

    Ci sono due fattori che per lungo tempo hanno accomunato pazzi e malati contagiosi:
    il pregiudizio e la superstizione.
    La marginalizzazione, infatti, era la risposta all’unisono di una comunità che credeva nelle punizioni divine “per merito” dei tanti in questo stato.
    Ci vollero secoli prima che la condizione medica e patologica avesse il suo riconoscimento: a Modena i primi reparti di isolamento comparvero nel Cinquecento, sotto la guida della Santa UnioneLa svolta arrivò a metà Settecento con il Grande Spedale, dove nacque l’Infermeria Venerei, separata dalle Generali Infermerie. Era un edificio a due piani dedicato alla cura stagionale della sifilide: in primavera i maschi, in autunno le femmine.Il piano inferiore, con stufe e vasche, tra un ciclo e l’altro serviva a Lettori dell’Università e medici per praticare l’anatomia, fino all'apertura del Teatro Anatomico nel 1775.
    Solo nel 1889 fu istituita la Clinica Dermosifilopatica, a seguito delle nuove norme di salute pubblica del 1888.

  • Li chiamano pazzi.

    Li chiamano pazzi.

    Ricordo che quando ero piccola passavo molto tempo con mia nonna, che era saggia e sapeva tante cose.

    Una mattina al mercato, tra la folla si aprì un varco di persone spaventate da un uomo che si agitava e urlava parole incomprensibili. Dopo poco arrivarono i sorveglianti della Santa Unione che lo portarono via di peso. Fu allora che mia nonna mi spiegò: "Persone così le chiamano pazze perché vedono e sentono cose che molti altri non capiscono." 

    Un tempo si pensava fossero possedute dal demonio o addirittura stregate, perciò per paura venivano rinchiuse e persino arse sul rogo. Solo nel Seicento il medico legale romano Paolo Zacchia capì che questi ‘pazzarelli’ avevano delle necessità speciali. Da quel momento fu grazie ad alcune anime generose che queste persone trovarono il loro spazio, come la Duchessa Laura Martinozzi, reggente per il figlio Francesco II, che contribuì personalmente affinché venisse concessa una stanza nell’Ospedale di San Lazzaro a Modena per la degenza di una malata di mente che vagava per la città.

    Fu a partire dal 1755 che la Santa Unione decise di costruire il ricovero dentro il Grande Spedale: disposto su due piani, con piccole stanze di ricovero al secondo piano chiuse da finestre con spesse inferriate, l’Ospizio dei Pazzi restò però solo un luogo di permanenza prima del trasferimento all’Ospedale San Lazzaro di Reggio Emilia, come da convenzione stipulata il 17 marzo 1757.

    Ne passarono tanti di malati di mente per questo luogo...

    Nell’Ottocento, nonostante fosse chiara l’inadeguatezza degli ambienti, la situazione non cambiò molto; se non che gli uomini rimasero nell’ospedale mentre le donne vennero trasferite nell’adiacente Albergo Arti.

  • Una luce diversa.

    Una luce diversa.

    In questi giorni filtra una luce diversa dalle finestre del Grande Spedale.

    Continuano i lavori di restauro, ma per ora è stato tolto il grande telo che copriva, da tempo, l'esterno del Sant’Agostino. Seppur temporaneamente...
    Certo ne avrebbe di storie da raccontare questa vecchia facciata.
    Alla sua inaugurazione il 30 novembre del 1758, proprio al di sopra del simbolo della Santa Unione, la mano benedicente tuttora visibile sopra il portale principale, si trovava l’emblema dell'Ospedale, costituito dalle insegne del Duca Francesco III D'Este, affiancato dagli scudi della comunità modenese, il tutto sormontato da corone dorate.
    Il 3 novembre 1796 - per ordine del Governo Provvisorio Napoleonico - vennero rimossi molti blasoni e simboli estensi, compresi gli stemmi dell’Ospedale dal fronte principale.

    Chissà che aspetto avrà la facciata una volta conclusi i lavori...

  • La farmacia e il teatro anatomico

    La farmacia e il teatro anatomico

    Quello dello speziale era un mestiere degno di nota.
    All’Ospedale della Cadè il suo incarico era quello di gestire la spezieria, di eseguire le preparazioni richieste dai medici assicurandosi che non mancassero mai preparati curativi di qualità per i degenti.

    Costruito il Grande Spedale, la speziera venne posta ai piani inferiori dell'edificio dove si trova tuttora. Vi lavoravano in quattro: un capo speziale, un sotto-speziale, un giovane praticante ed un facchino.

    Ricordo ancora che vi si preparava lo Spirito Teriacale Dolcificato, la cui ricetta, un tempo affidata alla spezieria del Convento di S. Pietro, era diventata esclusiva del Grande Spedale. Inoltre, sovente vi si potevano incontrare i giovani studenti di Botanica, che venivano lì per scoprire le preparazioni chimiche dei medicinali.

    Ai primi dell’Ottocento alla spezieria venne annesso il piccolo cortile triangolare adiacente. Da quel momento, fino a tempi recenti, quegli ambienti restarono fedeli alla loro destinazione farmaceutica.

  • Monumento equestre del Duca

    Monumento equestre del Duca

    Il complesso sistema del Grande Spedale funzionava, eccome.
    Modena aveva a disposizione un luogo attrezzato, con professionisti pronti ad accogliere, studiare e curare con metodi innovativi un sempre più vasto ventaglio di infermità e indisposizioni. Come ringraziamento, l’intera cittadinanza si mobilitò per far realizzare un monumento in onore del Duca Francesco III.
    La statua equestre fu posizionata tra il Grande Spedale e l’Albergo Arti, in Piazza Sant’Agostino, dove venne inaugurata il 24 aprile del 1774.

    Ancora ricordo i festeggiamenti: venne indetta una messa nella chiesa di Sant’Agostino, poi fu organizzato un palio lungo la via Emilia e una sfilata di carri trionfali. La sera, piazza Sant’Agostino fu illuminata a festa dalle fiaccole e la Comunità organizzò nel Teatro Rangoni una festa da ballo aperta gratuitamente a tutta la cittadinanza.
     
    Quanto avrei voluto partecipare, anche solo la vista di quelle celebrazioni mi entusiasmò immensamente!

  • Morte di Francesco III 1780

    Morte di Francesco III 1780

    Quando il monumento al Duca d’Este venne svelato in Piazza Sant'Agostino il 24 aprile 1774, il gradimento fu tale che la comunità di Modena onorò il suo autore, l’abate Giovanni Antonio Cybei, con l'ascrizione al Libro d' Oro della Nobiltà modenese.

    Inoltre, venne fatta stampare in più copie una raccolta di poesie in lode del Sovrano, ornata del disegno in rame della statua equestre, che fu distribuita non solo ai cittadini, ma anche ai Signori forestieri che in gran numero erano venuti a Modena per partecipare all’inaugurazione. Che onore sarebbe stato possedere un così bel regalo…
    Il 22 Febbraio 1780, Francesco III si spense nella sua tenuta di Varese. Quando arrivò a Modena l’infausta notizia, i cittadini ne furono profondamente amareggiati. Il dolore per questa perdita fu alleviato solo dalla sicurezza di un Principe erede, il figlio Ercole III, in cui tutti speravano come degno successore.

  • Ercole III e l'Albergo Arti

    Ercole III e l'Albergo Arti

    Come Principe Ereditario, il Duca Ercole III aveva sempre dimostrato grande affabilità con tutti, così come un grande amore per la giustizia e molta propensione per le arti.

    Tra gli interventi messi in atto ci fu la trasformazione del Grande Albergo dei Poveri in Albergo Arti. Lo stato di crisi in cui verteva la struttura destinata ai poveri obbligava ad una scelta drastica per limitare l’emorragia economica che ne derivava.
    Il Duca fece sgombrare quel luogo, assicurando però il sostegno necessario ai più bisognosi.

    Per provvedere alle ragazze rimaste senza un impiego, il Duca fece arrivare da Bologna i migliori maestri e operai della seta per insegnare loro l’arte del filamento e costruire un laboratorio di produzione di drappi e veli. Grazie alla proposta del sagace Sig. Pietro Casoli, questa nuova attività vide l’impiego di molte donne e fanciulle che si adoperarono non solo per produrre tessuti per il fabbisogno locale, ma anche per l’esportazione.

  • Ercole III e Piazza Sant'Agostino

    Ercole III e Piazza Sant'Agostino

    Con la morte di Francesco III rimasero in sospeso i lavori su diverse fabbriche ed Ercole III subito ordinò che fossero proseguiti e, in pochi anni, terminati.

    All'ingresso in città da porta Sant'Agostino, vi erano due vecchi edifici che per la loro forma e vetustà non si armonizzavano con le imponenti strutture fatte erigere sul piazzale da Francesco III, come il Grande Spedale. Il Duca Ercole, che di frequente visitava in persona ora questo ora l’altro luogo più meritevole di abbellimento, riconobbe la necessità di avviare quanto prima un intervento. Ordinò quindi la loro demolizione e commissionò all'architetto ducale Giuseppe Maria Soli la costruzione di un edificio sopra la porta destinato a ospitare adeguatamente molte famiglie che finalmente trovarono una casa accogliente.

    Così, piazza Sant’Agostino si completò nella sua visione architettonica. Al centro della piazza, svettava con orgoglio la statua equestre in marmo dell’Illuminato che aveva reso possibile tutto questo.

  • Rimozione monumento equestre del Duca

    Rimozione monumento equestre del Duca

    Ma i venti della Rivoluzione francese soffiarono presto anche in Italia.

    Nel 1796, con l’avvicinarsi dell’Armata d’Italia a Modena, il Duca Ercole III abbandonò la città, lasciandola nelle mani di una Reggenza provvisoria per rifugiarsi a Venezia.

    Proprio durante queste sommosse vennero colpiti i simboli del potere estense. Tra questi, gli stemmi sulla facciata del Grande Spedale e il magnifico monumento equestre dedicato a Francesco III.

    “Un disgraziato fanatico armato di pesante martello” salì sul basamento della statua e sfigurò irrimediabilmente tutte le parti più belle del gruppo scultoreo.

    Tra l’arrivo dei francesi, i tumulti di piazza e le guerre, l’avvicendarsi delle truppe e la fragilità dei governi, si decretava così la fine di quello che fu l’Ancien Régime.

  • La statua della Libertà

    La statua della Libertà

    Con lo sferzare della Rivoluzione francese e la fuga di Ercole III, nei primi mesi del 1796, Napoleone Bonaparte istituì anche a Modena la repubblica franco-giacobina.

    Piazza Sant’Agostino fu di nuovo protagonista di questo importante fatto storico. Dove un tempo trionfava l’Illuminato Francesco III a cavallo, il 12 ottobre 1796 venne posta una figura femminile svettante su una colonna di ordine corinzio, con fascio littorio e berretto frigio.

    Il monumento, realizzato in legno e stucco marmorizzato, fu approvato dal Consiglio della Municipalità su progetto di Giuseppe Maria Soli, già architetto di corte e direttore dell’Accademia Atestina di belle arti.

  • L'alba dell'800

    L'alba dell'800

    Al sorgere dell'800, avevamo una città, come un Paese, in tumulto.

    Con l'invasione dei francesi del 1796, Ercole III d’Este scappò da Modena per rifugiarsi a Venezia. Rimase come unica erede la figlia Maria Beatrice Ricciarda, la quale sposò a Milano il 15 ottobre 1771 il figlio dell'Imperatrice Maria Teresa, l’Arciduca Ferdinando Carlo Antonio d'Asburgo-Lorena, dando origine alla linea d'Austria Este.

    Alla morte di Ercole III, avvenuta a Treviso il 14 ottobre 1803, il vescovo distribuì ai poveri, per volontà dell'estinto, 2000 gigliati fatti pervenire dalla principessa Maria Beatrice d'Este.

  • Amministrazione dell'Ospedale

    Amministrazione dell'Ospedale

    I risvolti politici e sociali seguiti all'invasione francese del 1796, ebbero ripercussioni anche sul Grande Spedale.

    Lo stato di guerra comportò un aumento considerevole di degenti, sia civili che militari, locali ma soprattutto provenienti dalle truppe francesi. Inevitabilmente ci fu una crisi organizzativa e di bilancio che, per fortuna, venne sapientemente gestita così da garantire comunque le attività assistenziali.

    In che modo?
    Già durante il ducato di Ercole III, i Conservatori della Città avevano studiato una riforma per rendere le Opere Pie Generali economicamente sostenibili. Il 5 settembre 1807, con decreto del viceré Eugenio de Beauharnais, nasceva la Congregazione di Carità.

    Suddivisa in tre commissioni, alla prima era affidata l'amministrazione dell'Ospedale.

  • Restaurazione Francesco IV

    Restaurazione Francesco IV

    Il governo del viceré Eugenio de Beauharnais terminò il 15 luglio 1814 con la Restaurazione del ducato estense da parte di Francesco IV d'Austria Este.

    Figlio dell’ultima estense Maria Beatrice Ricciarda e dell’Arciduca Austriaco Ferdinando d'Asburgo-Lorena, Francesco IV fu uomo di grande ingegno. Nonostante lo spirito poliziesco che caratterizzò il suo governo, attuò una generale riorganizzazione dell'Ospedale, sia per quanto riguarda la funzione assistenziale sia nell'insegnamento universitario della Medicina.

    L'assassinio del ministro di polizia Giulio Besini nel 1822 rese il contesto politico ancora più infuocato. Per tutta risposta, il duca istituì un tribunale di cui fu vittima il sacerdote e patriota Giuseppe Andreoli. Da questo clima inquisitorio si salvarono altri personaggi illustri, tra i quali il celebre patriota, bibliotecario e bibliografo reggiano Antonio Panizzi, fortuitamente fuggito a Londra dove divenne poi direttore della biblioteca del British Museum.

  • Convitto medico del 1822

    Convitto medico del 1822

    Durante il governo Austro-Estense, il Grande Spedale si trovava in condizioni economiche precarie ma ancora gestibili.

    Questo stato di apparente tranquillità permise un certo grado di riorganizzazione delle attività, sia assistenziali che accademiche. Per questioni politiche e di controllo, il duca Francesco IV costrinse gli studenti di medicina a stabilirsi in un Convitto Medico.
    Per praticità, si decise che la residenza dovesse costituirsi in prossimità del Grande Spedale: vennero così acquistate delle case in via della Cerca, confinanti con la Chiesa di S. Pietro Martire. Realizzato dall'Ing. Vittorio Martinelli, il convitto venne inaugurato il 12 dicembre 1822.

  • Intendenza dell’Opera Pia Generale

    Intendenza dell’Opera Pia Generale

    Ma la crisi degli spazi al Sant’Agostino continuava.

    Sotto la guida di Francesco IV si ebbero frequenti riorganizzazioni interne dell’Ospedale, tra spostamenti di reparti dall’edificio centrale all’Albergo Arti. Nel 1826 venne inaugurato un reparto di Clinica chirurgica, aperto in alcune sale della Casa di Ricovero istituita nel 1812 nell’Albergo Arti dal viceré Eugenio de Beauharnais. Ma il persistere della ristrettezza dei locali a disposizione dei ricoverati impose la scelta di dividere l’Ospedale in due sezioni; a partire dal 1834 i reparti femminili vennero trasferiti all'Albergo Arti mentre quelli maschili rimasero nel Grande Spedale.

    Intanto, per rimettere in sesto le sorti della Congregazione di Carità, precedentemente istituita dal viceré francese, Francesco IV, con chirografo del 28 dicembre 1829, istituì un nuovo Ente: l’Intendenza dell’Opera Pia Generale, guidata da nobili ed ecclesiastici scelti personalmente dal Duca.

  • Congregazione Generale delle Opere Pie

    Congregazione Generale delle Opere Pie

    Dopo la Restaurazione, Francesco IV decise di ampliare gli spazi deputati all’insegnamento delle discipline mediche.

    Sopra il Teatro Anatomico, voluto e inaugurato il 25 gennaio 1775, dal celere anatomista Antonio Scarpa, fu costruito così un nuovo piano destinato al Museo Anatomico. Proprio per consentire la costruzione di una scala di accesso al Museo, però, fu necessaria una riduzione degli spazi del Teatro Anatomico stesso, che assunse la forma attuale.

    Una lapide commemorativa, tuttora visibile nell'atrio del Teatro, ricorda i lavori di ampliamento messi in atto nel 1818.

  • Divisione reparti maschili e femminili

    Divisione reparti maschili e femminili

    Intanto proseguivano le operazioni di dislocazione dei ricoverati promossa da Francesco IV.

    Dal 1841 i reparti femminili, trasferiti nell’Albergo Arti, furono affidati alle Sorelle della Carità e alla loro Superiora Suor Rosalia Thouret, nipote della fondatrice dell'ordine. Grazie alle loro capacità organizzative, in breve tempo ottennero, oltre all'assistenza, l'appalto di cucina, guardaroba, cantina e magazzini, e un assegno ducale di 10.000 lire annue.

    Per la fede cristiana vissuta al servizio dei poveri e dei bisognosi, Rosalia Thouret venne sepolta nella chiesa di Sant'Agostino.

  • Suor Celeste

    Suor Celeste

    Luigia Mattioli nacque a Reggio Emilia nel 1811.

    Durante la reggenza del Duca Francesco IV, nel 1837, prese il velo, assumendo il nome di Suor Celeste, insieme alla sorella, suor Generosa, entrando a far parte delle Sorelle della Carità, operanti nei reparti femminili dell'Ospedale.

    Di lì a poco iniziò il suo servizio agli infermi, che durò per oltre sessant’anni... ricordo bene il suo coraggio e l'assoluta devozione alla causa, specialmente durante la terribile epidemia di colera che infuriò a Modena nel 1855. Alla fine del secolo, ancora operativa, Suor Celeste ricevette la medaglia d’argento ai benemeriti della salute pubblica, conferitale personalmente da re Umberto I.

    Morì a novant’anni, nel gennaio 1901, lasciando un segno profondo nella comunità modenese.
    Nell’atrio del Grande Spedale la si può ancora vedere, seppure a mezzo busto, svettante al fianco di eminenti medici e cattedratici modenesi dell’età umbertina.

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  • Alessandro Puglia

    Alessandro Puglia

    Fra i busti che accolgono i visitatori nel Grande Atrio, accanto a quello di Suor Celeste, spicca ancora oggi quello scolpito da Giuseppe Gibellini dedicato ad Alessandro Puglia.

    Nato a Reggio Emilia ne 1802, Alessandro Puglia fu un medico di straordinaria dedizione: affrontò infatti, al fianco di Suor Celeste, la terribile epidemia di colera che colpì Modena nel 1855.

    Laureato in Medicina nel 1822, diventò Preside della Facoltà di Medicina dal 1848 al 1864 e poi ancora dal 1871 al 1877. Con Giovanni Bezzi e Luigi Vaccà guidò la rinascita del Grande Spedale, che potè così riaprire dopo l'Unità d'Italia grazie anche al suo impegno.

    Morì a Modena nel 1880, lasciando un'importante eredità di coraggio, scienza e passione civile che ancora oggi vive nella memoria della città.

     

  • Giovanni Bezzi

    Giovanni Bezzi

    Un altro personaggio illustre rappresentato nel grande atrio è il medico-chirurgo Giovanni Bezzi.

    Nato a Reggio Emilia nel 1822, a dispetto della sua passione per la medicina, fu anche un fervente patriota e per questo fu costretto a emigrare prima a Parigi poi in Germania per compiere i suoi studi. Infatti, nel 1846, a Giessen, si laureò summa cum laude in medicina.

    Rientrato nella sua città natale, Francesco V gli impedì di esercitare la professione di medico a causa del suo impegno politico e per le sue idee liberali. Nel 1859, però, con la fine del dominio austro-estense, ottenne un incarico all’Università di Modena e, l’anno successivo, la cattedra di chirurgia operativa che ricoprì fino al suo pensionamento nel 1902.

    Fu nel 1903 che il suo busto venne collocato, assieme a quello di Suor Celeste, nel Grande Atrio dell'ospedale Sant’Agostino con una cerimonia solenne.

    Giovanni Bezzi morì nel 1910, nella sua amata Reggio Emilia, tra l’ammirazione dei suoi contemporanei.

  • Luigi Vaccà

    Luigi Vaccà

    Tra storia e memorie, svetta ancora oggi nel Grande atrio del Sant’Agostino il busto del medico Luigi Vaccà.

    Originario di Massa, conseguì a Modena la laurea in Medicina nel 1838 e ottenne nel 1840 la cattedra di Materia medica all’Università, vincendo il primo concorso indetto dal duca Francesco IV.

    Con la nomina venne incaricato di insegnare Igiene, a cui successivamente si aggiunsero le docenze di Tossicologia, Terapeutica e Farmacologia sperimentale. Dal Farini venne intitolato nel 1859 vice-direttore dell’Università di Modena, di cui divenne Rettore dal 1861 al 1889. In questo periodo dovette più volte lottare per evitare la soppressione dell’Ateneo, per potenziare le attività e per equiparare l’Università di Modena agli altri prestigiosi istituti italiani.

    Grazie a Luigi Vaccà venne fondato anche il Consorzio universitario e promossa la costituzione del Gabinetto di Farmacologia che, da quel momento, si arricchì di pregevoli raccolte di specie medicamentose, micologiche e di un erbario secco.

    L’illustre medico si spense nella sua città natale il 10 febbraio 1890.

     

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